lunedì 12 luglio 2021

TOTTOI

 


L'autore: Gianni Padoan



Tottoi in vecchie pubblicazioni 

Tottoi Ill. Gianni Renna Mondadori 1981

 


Tottoi Bompiani 1983
Tottoi und die Mönchsrobbe (1993)



Tottoi (トトイ Totoi) anime del 1992 prodotto
da Nippon Animation, diretto da Norifumi Kiozumi 







Illustrare Tottoi
Zabaione e mamma foca



primi test - illustrazione digitale

Il motorino attraversò in un rapido slalom la fitta barriera di macchine
parcheggiate sul piazzale assolato del porticciolo; infilò curvando
a secco lo stretto imbarcadero di cemento e si fermò con un cristiania
stridente contro il bordo della Sant’Andrea.


Tottoi Muggianu era di per sé uno spettacolo. Stava
in slippino da bagno, scalzo, ma in compenso portava un enorme casco
avvolgente giallo e nero, con la visiera anti-riflesso abbassata, che gli
faceva una testa da robot.





 Nanni Spanu non si sgomentò. Prese il sacchetto
di plastica che si era portato e ne tiro fuori un grosso polpo. Lo lanciò
alla foca. L’animale ignorò quell’offerta d’amicizia. Anche un secondo
polpo non servi a calmarlo; ma l’uomo non gli badò più. Risalì la duna,
dove era rimasta la piccola foca. L’istinto avvertiva il cucciolo del pericolo,
da cui non poteva salvarsi, incapace ancora di saltellare sulle
pinne e di nuotare. Si agitava, si rotolava nella sabbia; sembrava che
tremasse e implorasse. L’uomo allungò le mani forti per immobilizzarlo.
Tottoi si accorse che lo stava accarezzando, per calmarlo e rassicurarlo.
Sembrò che se ne fosse accorta anche la madre, giacché cessò
di dibattersi nell’acqua e i suoi movimenti, pur sempre guardinghi e
minacciosi, si distesero in un su e giù sotto riva.
Nanni Spanu lascò il cucciolo, che aveva smesso di agitarsi, e ridiscese
verso riva. La grossa foca, vedendolo avvicinarsi, riprese a stronfi are
rumorosamente, ma non si mosse. Rimase indifferente e sospettosa
all’altro polpo che le venne lanciato. Lo guardò sprofondare 
lentamente, poi la fame vinse la diffidenza. Con un guizzo rapido scomparve
sott’acqua, alla ricerca del ghiotto boccone. Appena il suo naso riaffiorò, 
l’uomo o pronto a lanciarle un altro polpo, più lontano. Stavolta
la foca lo rincorse senza esitazioni.
«Vieni anche tu» Nanni Spanu chiamò il ragazzo. «Muoviti piano,-
ma senza paura. La foca non ti farà nulla».
Così fu infatti. Pagaiando per quei metri che lo separavano dalla
“spiaggia”, Tottoi non perse di vista per un attimo il corpo mastodontico
allungato appena sotto la superfi cie, il naso che affi orava proprio come
una bottiglia galleggiante; ma gli occhi neri della foca, lucidi e sporgenti,
non si staccavano dall’uomo sulla riva, sperando in un altro boccone.
L’animale riprese a stronfi are e a perquotere l’acqua soltanto quando
il ragazzo, già sulla duna, si avvicinò al cucciolo; ma Nanni Spanu lo
rassicurò gettandogli ancora un polpo.
Il cucciolo era buff o e patetico. Sebbene fosse lungo poco meno di
un metro, appariva gracile e inerme. Il corpo si arricciava in una serie
di ciambelle, dove la pelle – già formata per contenere uno scheletro
molto più sviluppato – si ripiegava in rughe profonde: ricordava il famoso
pupazzo della pubblicità dei pneumatici. Le pinne si fl ettevano
sulla sabbia, morbide e cedevoli come cartilagini, incapaci ancora di
sostenere il peso. Il muso, arrotondato e paff uto, con i lunghi baffi che
scintillavano come pungiglioni di nailon infi lati nel muso di un animaletto
di peluche, si appuntiva soltanto intorno alle umide fessure delle
narici, che si dilatavano e si richiudevano in un respiro ansimante. Ma
a colpire maggiormente Tottoi furono gli occhi: neri, lucidi, rotondi,
espressivi, erano due biglie di ebano vivo che lo fi ssavano senza paura,
soltanto curiosi. Un simile cucciolone faceva davvero tenerezza. Il
ragazzo allungo la mano per carezzarlo. La piccola foca si rotolò su se
stessa e, con uno scatto improvviso, fece per morderlo. Tottoi ritrasse
il braccio precipitosamente.


 
Il cucciolo gli si mise al fi anco e prese a spingerlo con il corpo come prima
aveva fatto la madre con lui, costringendolo ad andare dove lui voleva.
«Io so già nuotare!» protestò Tottoi, che aveva una gran voglia di
ridere. «Non occorre che tu mi insegni!».
Zabaione schizzava via (gli bastavano un paio di colpi di pinne per
sopravanzare il ragazzo di parecchi metri) e si girava ad aspettare che
lo raggiungesse, con il muso buff o fuori dell’acqua, lo sguardo impertinente;
e, appena l’altro stava per acciuff arlo, si inabissava di colpo,
passandogli al di sotto, o sfrecciava di lato con una virata impossibile
per un corpo umano.
«Vuoi mostrarmi come sei diventato bravo? Aspetta, presuntuoso,
ora ti faccio vedere io!».
Attese il momento giusto e, con un guizzo, si aggrappò alla coda. La
piccola foca non fece nulla per liberarsi. Continuò a nuotare, trascinandosi
dietro il ragazzo nelle sue eleganti evoluzioni. Sembrava divertirsi
Tottoi e Zabaione nuotano assieme
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un mondo e anche per Tottoi era un gioco entusiasmante, nuovissimo.




Il laboratorio di Nanni Spanu era uno stanzone affacciato su un cortiletto
dietro la chiesa. La luce accesa all’interno consentiva di vedere,
oltre la vetrata polverosa, le pareti ricoperte per intero da scaffalature
su cui erano disposte in bell’ordine ceramiche ai vari stadi di lavorazione:
testine, statuette, imitazioni dei famosi bronzetti nuragici, piatti,
vasi, portacenere. L’ambiente, ingombro di tavoli e di vecchi macchinari,
dava un’impressione indefinibile, che faceva pensare comunque a
un’attività laboriosa; ma dentro non c’era nessuno.
Incerto Tottoi girò la maniglia della porta, che si aprì cigolando. Rimase
sull’uscio, in ascolto, ma non udì alcun rumore. Si rendeva conto
che avrebbe dovuto attendere discretamente, fuori, che l’artigiano
tornasse; ma fu attirato da una specie di quadro, in cui era tenuta sottovetro
una collezione di farfalle. Là accanto, una vetrinetta modesta
sgangherata raccoglieva i reperti più disparati: conchiglie, fossili, campioni
minerali, un osso di chissà cosa, una radice calcificata, fotografi e
ingiallite della vecchia Dorgali. Eppure, proprio quell’apparente accozzaglia
suggeriva quanto fossero molteplici interessi del raccoglitore.
Il ragazzo passò dall’altra parte dello stanzone. Osservò con curiosità
le ceramiche allineate sugli scaffali, divise per tipo. Lo colpì una fila
di piccoli gufi stilizzati. Sapeva cosa erano, ma era così raro trovarli…
La tentazione fu troppo forte. Ne prese uno, con dita esitanti, e lo capovolse.
Trovò un foro dietro il capo dell’uccello di terracotta. Come
aveva supposto: era un richiamo. Se lo portò alle labbra e soffi ò. Il suono
cupo e lugubre, appunto come il verso del gufo, lo fece sussultare
vergognoso e imbarazzato; ma già sulla porticina buia del retrobottega
era apparso un uomo.
Un gigante: fu quella la prima impressione che ne ebbe Tottoi. Era
molto più alto di quanto sono solitamente i sardi, e anche molto più
grosso. I capelli brizzolati e ricciuti gli formavano un serto intorno al
volto dai lineamenti marcati, in cui spiccavano i sopraccigli cespugliosi
e le labbra carnose.
Francesco Pisanu, Cala Gonone
Francesco Pisanu, Cala Gonone


«Il padrone dello yacht vuole parlarti».
«Proprio a me?» Tottoi sgranò gli occhi.
«È un giornalista americano..».
«Un giornalista può permettersi una barca del genere?»

L’impressione di lusso che la Lynn dava dall’esterno era nulla in
confronto alla fastosità dell’interno. Là, pur negli ambienti ristretti ma
dagli spazi sapientemente calcolati, si era in piena favola, tra mogani,
tappeti, suppellettili eleganti e di sicuro costose.
Jack Rand, il proprietario, attendeva stravaccato su un soffi ce divano
di pelle bianca. Era un uomo corpulento, bruno di carnagione e
di capelli. Indossava il prevedibile doppio petto di panno blu con una
doppia fi la di bottoni dorati, che è l’uniforme di tutti gli ammiragli da
diporto, ma da ogni particolare del suo abbigliamento sprizzava la ricchezza
un po’ pacchiana degli americani. Gli stava accovacciata languidamente
accanto una donna molto più giovane, formosa e biondissima,
tipo attricetta, che indossava un abito lungo tutto spacchi, verde e
lucido, di una stoff a indefi nibile, avveniristica come quella dei costumi
dei fi lm di fantascienza. Lei non parlava italiano e tutto ciò che poteva
fare era sorridere.
L’italiano dell’uomo – di una cordialità chiassosa e travolgente – era
molto approssimativo, appena comprensibile, e per di più alterato da
un forte accento meridionale.



Per i ragazzi di Dorgali (ma, per la verità, anche per gli anziani) la
riapertura delle scuole coincise, almeno, con la festosa eccitazione e
dei “balli di san Cipriano”.

Trovò una piazzetta illuminata da fi le di lampadine colorate, attraversata
da festoni di bandierine di carta fatte in casa. Tutt’intorno
erano state sistemate, come panche, delle tavole di legno in bilico su
pile di mattoni. La gente aveva cominciato a riversarsi nella piazzetta
già molto prima delle nove, e attendeva assiepata sulle panche e alle
finestre delle case circostanti, in un silenzio fatto di mormorii pazienti.

Le donne anziane indossavano il “costume di tutti i giorni”, ma impreziosito
da un monile antico o dalla civetteria di uno scialle ricamato, la
crocchia di capelli sulla nuca intrecciata in un fazzoletto dai colori allegri;
e stavano immobili e composte a braccia conserte. Per contratto
i giovani – ragazzi e ragazze – avevano indossato i jeans più aderenti,
le magliette più stravaganti, i giubbetti più vistosi: la tenuta delle occasioni
particolari.

C’era soltanto un’altra coppia di ragazzini di sei-sette anni, che le madri avevano orgogliosamente
abbigliato con il vestito della festa, e si esibivano con molto sussiego.
«Sono bravi» commentò Eléne. «Fanno parte del gruppo folkloristico,
ma cominciano appena adesso».
«Bah!» a Tottoi sembravano i soliti ragazzini esibizionisti e pestiferi
che non mancano mai in nessuna pista da ballo, di mancabili gioielli di
matrone deliziate e orgogliosissime.

Foto dei balli nella piazza di Su Cucuru a Dorgali













Anche sopra e intorno alle altre motobarche che i marinai e i loro
aiutanti improvvisati si davano da fare con la stessa solerzia affannosa.
Li imitavano i proprietari dei motoscafi di lusso e dell’eleganza barche
a vela, anche se non capivano perché, contagiati dall’ agitazione di
quelli del posto.
A Tottoi tanta agitazione sembrava esagerata. 
Tuttavia, contagiato anche lui da tanta attività febbrile, quando ebbe finito alla Sant’Andrea corse al
gommone del padre. Vi saltò dentro e controllò che il motore fosse
bene imballato. Gettò a poppa l’ancora di emergenza e, tornato a prua,
tirò la sagola di nylon arancione per accostare alla banchina quanto
più poteva.
Un sibilo sonoro e minaccioso gli fece alzare lo sguardo verso le
montagne. Avevano preso un insolita sfumature violacea; eppure il
cielo era sempre azzurro, il mare calmo…
La prima raffica si abbatté sul porticciolo con violenza inattesa. Il
vento veniva convogliato lungo i due canaloni del monte, in un imbuto
che sboccava proprio sul porticciolo; e per questo la sua forza ne
era moltiplicata, concentrata.


Bovore e gli altri ragazzi che si erano appostati sul ciglione dello
strapiombo furono preavvertiti dal rombo dei motori, accesi non appena
il barcone e il canotto furono allo sbocco del ramo attivo. Il fracasso
usciva dagli arconi delle grotte come da un megafono, sotto di
loro, e si spandeva sonoro sul mare e nell’aria. Nelle ultime luci del
crepuscolo, videro spuntar fuori le due imbarcazioni.
«Sono loro!» esclamò Bovore, livido. «Bombardiamo!».
Aprì le mani lasciando cadere il macigno che teneva sospeso nel
vuoto. I suoi compagni lo imitarono. Le pesanti pietre rimbalzarono
sugli scogli provocando una serie di frane improvvise. A un tratto il
mare si riempì di tonfi .

Cala Gonone, Grotte del Bue Marino


Cala Gonone, Grotte del Bue Marino (petroglifi )





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